Il belcanto nel terzo millennio
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Belcanto. Mai parola legata alla voce ebbe più vasta eco nella storia umana. Da sempre sinonimo di canto eufonico, buon canto, nel XX secolo lentamente diviene tout court sinonimo di operistico, di canto teatrale.
In realtà la parola Belcanto identifica due realtà ben precise:
- La metodologia di canto codificata fra il XVII e il XVIII secolo basata sul meccanismo del Tilt Tiroideo, e conseguente fusione delle meccaniche primarie, e sulla respirazione costo-toraco-diaframmatica. Questi due fondamentali atteggiamenti muscolari guidano lo strumento voce ad un’emissione coltivata sempre limpida, legata, morbida, estesa, omogenea, capace di sfumature e di abbellimenti, fra i quali un assoluto controllo del vibrato.
- Lo stile compositivo dedicato alla suddetta vocalità in voga già dal ‘600, e destinato a scomparire nella prima metà dell’800. La data della morte del Belcanto è tradizionalmente identificata, per grande omaggio al Cigno Catanese, con l’anno della morte di Vincenzo Bellini (1835). Lo stile compositivo belcantistico, noto come Canto Fiorito, succede al Recitar Cantando di seicentesca memoria e precede il Canto Declamato, grande protagonista del Verismo e di tutto il Novecento operistico italiano e internazionale.
A chi dobbiamo “l’invenzione” e la codifica del Belcanto?
Furono gli Evirati Cantori, i Castrati, (“grandi maestri”, “bravi fra i bravi” cit. Rossini) a perfezionare la metodologia vocale del Belcanto, in primis Tosi e Mancini, due campioni della vocalità teatrale settecentesca, le cui opinioni e pensieri si ritrovano anche nella prima codifica del Belcanto, il Metodo del neonato Conservatorio di Parigi, a cura di Bernardo Mengozzi e poi ancora nel definitivo Trattato Completo dell’Arte del Canto di Manuel García figlio.
La morte del Belcanto
In una conversazione con il compositore tedesco Richard Wagner, nel 1860, Gioacchino Rossini afferma che ormai il Belcanto sia definitivamente morto e che nei Conservatori italiani “di Belcanto non si conserva più un bel niente”.
Rossini attribuisce questa perdita gravissima alla scomparsa dei castrati che non trovano posto nella nuova estetica romantica, soppiantati nei ruoli eroici dalla “nuova” vocalità tenorile e surclassati nel linguaggio teatrale dalla progressiva idea di verosimiglianza, che attinge più alla vita reale che a storie idealizzate di grandi eroi del passato, e che avrà consacrazione definitiva nel Verismo, quando messi in scena si vedranno fatti di sangue attinti dalla reale cronaca nera, come ne I Pagliacci di Leoncavallo.
I castrati e la loro Scuola, nell’800, sopravvivono, come antiche cariatidi dimenticate nelle polverose soffitte del Vaticano, solo nella Cappella Pontificia.
La seconda metà del Novecento vedrà una progressiva rinascita metodologica del Belcanto vocale ed una riesumazione di capolavori immortali di Bellini, Rossini e Donizetti, oltre che di tutto il ‘700, grazie al contributo di grandi direttori e di divinità belcantistiche come Maria Callas, Joan Sutherland, Montserrat Caballé.
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